Secondo la Suprema Corte di Cassazione, la ratio della tutela reintegratoria di cui all’18, comma 4, St. Lav. risiede nella esigenza di sanzionare “l'abuso consapevole del potere disciplinare, che implica una sicura e chiaramente intellegibile conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoratore, della illegittimità del provvedimento espulsivo derivante dalla insussistenza del fatto contestato” (Cass., sez. lav., 9 maggio 2019, n. 12365)
Ebbene, nel caso in cui il datore di lavoro contesti al lavoratore sia un fatto realmente accaduto ma di scarsissimo rilievo disciplinare, sia una circostanza palesemente artefatta (ad esempio la minaccia di morte nei confronti dello stesso datore di lavoro) al solo fine di dare apparente ed astratto fondamento al provvedimento espulsivo, si rende certamente responsabile di siffatto “abuso consapevole del potere disciplinare” e merita, in base alla ratio della norma citata, di essere gravato della ordinaria [1] tutela reintegratoria e non solo di un mero risarcimento danni.
Contra non può sostenersi che l’interpretazione di cui sopra si ponga in contrasto con il divieto di interpretazione analogica od estensiva della lettera dell’art. 18, comma 4, St.Lav. in esame.
La norma in esame precisa solo ed esclusivamente che la tutela reintegratoria deve applicarsi in caso di “insussistenza del fatto contestato”.
Se occorresse rispettare, rigorosamente (ma gravemente miope), la lettera della norma in esame, si dovrebbe giocoforza concludere che è sufficiente che un qualsiasi fatto, tra quelli contestati, venga accertato come insussistente (come appunto testualmente prevede la norma) per poter applicare la tutela reintegratoria e ciò, per assurdo, anche quando sussista altro fatto parimenti idoneo a giustificare il licenziamento.
In verità, se la ratio e lo scopo della norma che prevede la reintegrazione anziché un mero risarcimento del danno è quello di sanzionare il datore di lavoro che abusa del potere disciplinare licenziando un dipendente per un fatto che è ben consapevole essere insussistente, occorre giocoforza adottare la stessa “sanzione” anche nei confronti del datore di lavoro che contesta un fatto che è ben consapevole essere insussistente allo scopo di supplire, almeno "sulla carta" alla scarsa rilevanza disciplinare di altre circostanze che lo stesso è parimenti ben consapevole non poter fondare alcun provvedimento di licenziamento.
A nostro avviso, in base ad una doverosa interpretazione sistematica e teleologica della norma in questione, nel caso in cui il licenziamento sia fondato su una pluralità di fatti, il Giudice dovrà, dunque, preliminarmente identificare quelli che almeno in astratto integrano “un nucleo minimo di condotta idoneo a giustificare il licenziamento” e quelli che non hanno, invece, siffatta astratta peculiarità.
Se poi il Giudice giudicherà insussistente il nucleo di condotta astrattamente idoneo a giustificare il licenziamento (come è senz’altro, appunto, in astratto, la minaccia di morte rivolta al datore di lavoro) e sussistenti i residui fatti astrattamente non idonei a giustificare il licenziamento (abbandono del posto di lavoro per un’ora come nel nostro caso) si applicherà la tutela reintegratoria e ciò prima e del tutto a prescindere dalla logicamente distinta e successiva valutazione concreta in ordine alla proporzionalità del licenziamento rispetto agli stessi fatti.
Se, al contrario il Giudice giudicherà insussistente un fatto che non rientra nel nucleo di condotta astrattamente idoneo a giustificare il licenziamento (ad esempio, abbandono per un’ora del posto di lavoro) ed invece sussistente il nucleo di condotta astrattamente idoneo a giustificare il licenziamento (minaccia di morte), il Giudice, esclusa la tutela reintegratoria, dovrà, in una seconda e distinta fase, valutare in concreto sei il nucleo di condotta astrattamente idoneo a giustificare il licenziamento e giudicato sussistente (la minaccia di morte) è idoneo, non solo in astratto, ma anche in concreto a giustificare il licenziamento sotto l’ulteriore essenziale, ma separato, profilo della proporzionalità.
Se il nucleo di condotta pur astrattamente idoneo a giustificare il licenziamento (minacce di morte) e pur giudicato sussistente risulterà, tuttavia, in concreto, sproporzionato rispetto al concreto atteggiarsi della fattispecie (perché il lavoratore che ha minacciato di morte il datore di lavoro è stato, ad esempio, a sua volta gravemente provocato dallo stesso), si applicherà la mera sanzione indennitaria; se risulterà invece che tale nucleo astrattamente idoneo a giustificare il licenziamento (minacce di morte) è non solo sussistente, ma anche in concreto proporzionato (perché ad esempio il lavoratore ha minacciato di morte il datore solo perché gli stava antipatico), il licenziamento sarà dichiarato legittimo.